Si è tenuta ieri la prima lezione del Corso di Alta Formazione presso la Sede di Roma dell’European School of Economics sulle Smart Cities.

Nei primi due interventi, tenuti magistralmente dai docenti, Prof. Fortunato Costantino (con un interessante inframezzo analitico del dott. Khaled Al-Awadhi sul goal 11 dell’Agenda 2030 specificamente rubricato “città e comunità sostenibili”) e Dott. Vincenzo Maniaci, focalizzati, rispettivamente, sulla “Sostenibilità sociale nelle Smart City ed ESG” e sulla “Data governance e data strategy nelle Smart City”, sono stati introdotti i concetti primari ed essenziali della Smart City, concetto oggi più che mai particolarmente interessante dal punto di vista della capacità di innovare il paradigma della socialità e della vivibilità urbana ma, che, per quanto già esistente da diversi anni, a livello normativo e dottrinario non trova ancora un inquadramento uniforme, che anzi risulta piuttosto frammentario.

Nell’intervento del Dott. Maniaci in particolare sono state delineate quelle che possono essere le potenzialità di “smartness” della raccolta e dell’analisi dei dati e dell’adozione di soluzioni digitali volte all’efficientamento dei servizi e delle infrastrutture nelle città “intelligenti” e della loro fruizione da parte dei cittadini. Tale intervento si è svolto in un continuum di coerenza concettuale e metodologica con l’intervento del Prof. Fortunato Costantino che invece si è concentrato sul tentativo non semplice di svolgere una ricognizione sistematica degli ambiti di rilevanza della smartness della città, cercando di privilegiare un approccio multidisciplinare il cui traino è rappresentato da un ripensamento complessivo delle scelte strategiche della politica nel settore dei servizi essenziali alla persona, del welfare sociale e di equo accesso alle risorse di base oltre che della stessa concezione del benessere sociale e collettivo.

In questo senso, come Costantino ha efficacemente rappresentato, un indubbio punto di partenza dell’analisi è chiarire cosa la Smart City non è.

La Smart City non si può ridurre semplicemente alla immagine suggestiva di una città tecnocratica e digitale, governata da un cervello tecnologico intelligente in cui le dinamiche di gestione della cosa pubblica vengono integrate da sistemi, infrastrutture e mezzi tecnologicamente avanzati (Internet of Things, i Big Data e Analytics, e cosi anche la Virtualizzazione, il Rendering e Simulazione 3D, l’ Artificial Intelligence, il Cloud) nell’ottica di una pianificazione e fruizione intelligente delle risorse pubbliche e dei servizi essenziali.

Il concetto di città intelligente non coincide infatti con quello di città digitale: quest’ultima riporta al grado di informatizzazione, distribuzione di competenza e destrezza digitale presente sul territorio, mentre la smart city implica un livello superiore di pianificazione strategica delle politiche sociali tese a garantire la partecipazione attiva dei cittadini ai processi legati alla vivibilità della comunità urbana, alla qualità dei servizi resi e all’inclusione sociale.

E non coincide nemmeno con il concetto di Green City apparendo chiaro che la smartness di una città è connotato per così dire ontologico che racchiude una molteplicità di fattori abilitanti, non riducibili in via esclusiva o anche solo preponderante alla tutela ambientale. Per le stesse ragioni la smart city non può essere ridotta a mero paradigma di recupero o rilancio della competitività economica del sistema attraverso la realizzazione di sinergie tra lo sviluppo di nuove tecnologie e la crescente salvaguardia dell’ambiente.

Nel corso dell’intervento, Costantino ha quindi evidenziato come un recupero di coerenza della possibile definizione di Smart City debba tenere conto della rilevanza assoluta degli obiettivi di sostenibilità, sociale in particolare prima ancora che economica ed ambientale, nella costruzione di un modello di vivibilità urbana all’altezza delle complesse sfide conseguenti ai processi di metropolizzazione in atto che conduranno nel 2050 circa il 70% della popolazione terrestre a vivere in citta o aree metropolitane.

Sfide che non possono essere limitate soltanto alla sostenibilità ambientale degli agglomerati urbani a cui oggi, sebbene essi occupino solo il 3% della superfice terrestre, vanno imputati il 60-80% del consumo di energia e il 75% delle emissioni di sostanze nocive o alla lotta al declino economico che interessa in maniera sempre più crescente e progressiva, in ragione dell’incremento dei tassi di metropolizzazione, persino i Paesi occidentali a democrazia stabilizzata.

La sfida più urgente infatti è quella di fondare e consolidare una nuova concezione della città come spazio/luogo oggetto di diritti di cittadinanza e allo stesso tempo come complesso organizzato degli strumenti e delle dotazioni per l’esercizio attivo di questi diritti, coadiuvato dalle infrastrutture tecnologiche e digitali. Un vero e proprio diritto alla città socialmente sostenibile, in sintesi.

Un approccio questo che secondo Costantino appare coerente con il paragrafo 11 della New Urban Agenda delle Nazioni Unite nella parte in cui afferma in maniera programmatica il “diritto alla città’ giusta, inclusiva, sicura, sana, accessibile,resiliente e sostenibili. Ma che soprattutto appare coerente con l’Agenda 2030 che nel nutrito elenco dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030 per migliorare lo sviluppo dell’umanità, dedica il “goal 11” proprio  a “Citta e comunità sostenibili” con la finalità di “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”.

Ed è a ben vedere secondo Costantino un approccio coerente anche con le più recenti teorie sul benessere della società equo e sostenibile, grazie alle quali finalmente i tradizionali indicatori economici di misurazione del benessere della persona e di una nazione, rispettivamente reddito pro-capite e PIL, sono stati ritenuti insufficienti, passando la valutazione e misurazione dei caratteri eterogenei del benessere soprattutto per altri indicatori compresi quelli relativi alle disuguaglianze e alle discriminazioni da parte dei gruppi sociali dominanti, o ancora la salute, l’accesso equo ad una istruzione di qualità ed alle opportunità di sviluppo della persona (compreso il lavoro), cosi come l’indice di governabilità, il tasso di integrazione e qualità delle relazioni sociali, e infine la capacità di fruibilità degli spazi collettivi.

Ma per Costantino, interrogarsi sulla sostenibilità sociale della smart city non significa però solo cercare di capire quali soluzioni i decisori pubblici, l’Europa, i Governi nazionali e le amministrazioni locali possono e devono pianificare e/o adottare per far fronte ai problemi inerenti la giustizia sociale tout court, l’inclusione, la sicurezza e la tutela ambientale. Significa anche, e soprattutto, cercare di capire se e quanto l’indice di sviluppo della smartness tecnologica e digitale della città incida effettivamente sull’implementazione della dimensione della sostenibilità sociale.

Con questo perimetro, e richiamando i risultati di alcuni studi pertinenti e ricerche applicate, Costantino ha quindi sostenuto che le potenzialità di sviluppo delle politiche di sostenibilità sociale dipendono, più che dall’utilizzo massiccio dell’ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), dall’adozione di una chiara strategia di programmazione di interventi ad impatto sociale nell’ambito del tessuto urbano che parta e tenga conto delle specificità dei diversi contesti per giungere ad un ventaglio coerente e dedicato di azioni integrate da applicare ai diversi ambiti di intervento.

Il che equivale a dire che la smartness di una città non è un fattore generativo in sè di sostenibilità sociale ma un mero fattore abilitante non imprescindibile né determinante e “di supporto” alle strategie di sostenibilità sociale. Ed equivale anche a dire che la strategia della sostenibilità sociale della città intelligente può passare attraverso un piano di sviluppo completamente differente ed autonomo rispetto alla strategia di implementazione della smartness cittadina, basata prioritariamente e/o esclusivamente sul potenziamento delle infrastrutture ITC.

La smart city  insomma è intelligente dal punto di vista della sostenibilità sociale nella misura in cui mettendo da parte applicazioni decontestualizzate e acritiche di tecnologie informatiche e/o comunicative, riesce a innescare un processo  di miglioramento continuo della qualità della vita (nel senso di migliore fruizione della città e dei suoi servizi), che tenga conto delle differenze sociali, economiche e culturali che contraddistinguono la città e che sono basilari per l’individuazione di strategie specifiche di intervento.

Questa visione di città intelligente e sostenibile, integrata in tutte le sue componenti di valore, ma nella quale la sostenibilità sociale è agevolata dalla tecnologia senza dipendere in via esclusiva da essa, induce alla necessità, secondo Costantino, di un passaggio evolutivo dal concetto di Smart City a quello di Social Sustainable Smart City con ciò dando voce al principio di fondo per eccellenza della sostenibilità sociale, il “Leave No One Behind”.

Emerge cioè l’idea di una città tesa a fortificare gli spazi, i luoghi e le formazioni sociali entro i quali si svolge il proprium della persona umana in attuazione dell’art. 2 della costituzione italiana, nel rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo; una città in cui non trovano spazio e legittimazione differenti livelli di cittadinanza con differenziati livelli di accesso a determinate risorse sulla base di differenti capacità reddituali; una città tesa a ricostruire un significato di spazio pubblico inclusivo e non discriminante, definito attraverso la partecipazione effettiva e compiuta ai beni collettivi di tutti i cittadini a prescindere dal gruppo sociale di appartenenza e del profilo reddituale posseduto.

Sotto questo profilo, la Social Sustainable Smart City diventa una nuova potente forma di democrazia che parte dal riconoscimento di una comunità urbana intelligente e sostenibile in cui il cittadino è soggetto attivo, corresponsabile di nuovi modi di governare la res pubblica, e non un mero passivo fruitore-consumatore di beni e servizi, come è preponderante negli attuali modelli di comunità urbana; diventa cioè un nuovo modello di governo della collettività in termini di sostenibilità, rifondando l’architrave della società, della politica, dell’economia e della produzione, dando il giusto senso e priorità alle connessioni sociali e relazionali tra sistemi umani e sistemi non umani.

E’ insomma il luogo ideale che rende possibile la ricostruzione in termini di sostenibilità del rapporto tra Natura, gli ecosistemi e l’Uomo, inteso aristotelicamente nel suo connotato di Homo Politicus, rispetto al quale Scienza e Tecnica devono essere asservite in quanto strumenti finalisticamente e operativamente orientati alla creazione di soluzioni responsabili di benessere dell’individuo e della società.

Non a caso, come Costantino a evidenziato sul finire della sua lezione, negli studi di sociologia e antropologia più recenti, si è incominciato a parlare più correttamente di “ecodomia del comune” (cfr. Ecodomia del comune. Note su come rifare il mondo restando felici, Nicola Capone, 2019) con una espressione che trae origine dall’Etica Nicomachea (II, 10-11), quando Aristotele scrive:

eu oikodomein agathoi oikodòmoi èsontai/Il ben costruire fa il buon costruttore.

E per Costantino, il futuro della prospettiva umana in generale e delle città intelligenti sostenibili in particolare è tutto nella capacità dell’Uomo di saper ben costruire lo spazio comune delle relazioni attraverso la cura della convivialità e dei beni e servizi funzionali allo sviluppo dell’individuo.

Si comprende quindi l’importanza che Costantino attribuisce ad un urbanesimo conscio e consapevole che passi attraverso il ripensamento in ottica di sostenibilità sociale delle attività antropiche e delle comunità urbane metropolitane, piegando Scienza e Tecnica alla ricerca di soluzioni finalisticamente orientate al perseguimento degli obiettivi di governo responsabile della comunità degli uomini così come della Natura e delle sue risorse, con il fine ultimo della salvezza del genere umano dal rischio della estinzione biologica.

A pensarla diversamente, secondo Costantino, “nel perpetuarsi delle condizioni di miope intendimento e gestione delle criticità degli ecosistemi urbani e di tutti gli altri ecosistemi intorno a noi, si perpetuerebbero anche le  dinamiche utilitaristiche proprie delle convenienze contingenti che mai nella storia dell’Uomo e del pensiero politico moderno hanno contribuito a creare superiori pratiche del bene comune, anzi avendo piuttosto generato particolarismi e individualismi  egoistici e iniqui, come lo specismo, il classismo, il sessismo e il razzismo, latori di disagio sociale e distruttori di quei legami solidaristici da cui una società equa, libera, democratica, inclusiva  e partecipata, dipende in via esclusiva”.

Da sinistra Giuseppe Cassano, Fortunato Costantino, Vincenzo Maniaci, Khaled Al-Awadhi.

Articoli simili

See all