Il professore Alessandro Sammarco ha affrontato la tematica delle insidie penali e processual penalistiche nell’ambito del corso di alta formazione in Esperto della Responsabilità Medica e del Rischio Sanitario, con particolare riferimento alla propria esperienza di avvocato.

E’ stata l’occasione per sottoporre al professore alcune domande, relative ai processi più spinosi che ha seguito.

Domanda: Il tema della responsabilità medica è al centro degli interessi mediatici. Come si comporta la giurisprudenza rispetto alla domanda diffusa di giustizia per i malati e per le persone più fragili?

Risposta: In generale, debbo dire che come sempre accade nella storia del processo penale, i giudici recepiscono le istanze giustizialiste della società e molto spesso, direi troppo spesso, confezionano condanne parametrate sul consenso popolare. Questo naturalmente non vuol dire che tutti i giudici siano giustizieri, perché molti invece applicano la legge nel pieno rispetto dei principi e delle garanzie della costituzione.

 

Domanda: Lei che ha difeso molti noti politici può dire se anche in questi casi la giurisprudenza ha subito deviazioni in conseguenza dell’attenzione mediatica?

Risposta: ritengo che il processo politico nel quale cioè sono coinvolti politici o interessi politici, costituisce il prototipo del processo condizionato da situazioni per così dire esterne che nulla hanno a che vedere con l’applicazione della legge che è e dovrebbe sempre essere “uguale per tutti”. Nella mia esperienza (il prof. Avv. Sammarco ha difeso politici come Previti, Berlusconi, Dell’Utri) posso dire che in taluni casi ho assistito a raccapriccianti deformazioni procedurali, pur di pervenire a decisioni scontate e ampiamente preannunciate sui mezzi di comunicazione di massa.

 

Domanda: ma come si può reagire agli abusi giudiziari quando questi siano commessi?

Risposta: Questo è il punto cruciale. In Italia i magistrati godono di privilegi che non ha nessun’altra categoria professionale. Mi riferisco con un termine un po’ ricercato all’autodichia e cioè alla garanzia di essere giudicato da un proprio pari; ció significa che un magistrato (italiano) che violi la legge (sia essa penale, civile o amministrativa) è giudicato da propri colleghi. Ecco perché statisticamente i processi fatti da magistrati contro i loro colleghi sono pochissimi e caratterizzati nei rari casi di condanna da sanzioni molto più blande di quelle riservate ai normali cittadini. Occorrerebbe seriamente garantire nel nostro Paese l’effettività del rispetto del principio di responsabilità dei magistrati che ad oggi esiste solo in teoria.