Venerdì 23 settembre, a Roma, nel Corso di Alta Formazione in Esperto della Compliance ambientale, organizzato dal Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics, diretto dal professor Giuseppe Cassano, si è tenuta la lezione in tema di DIRITTO SOCIETARIO E COMPLIANCE. ASSETTI SOCIETARI E FORME DI RESPONSABILITA’ del prof. GIOVANNI CAPO, Professore Ordinario di diritto commerciale Università di Salerno. Il corso è stato progettato con la Global Academy, con il supporto della sua responsabile scientifica, avv. Loredana Bardascino.

 

Abbiamo rivolto al professore Capo alcune domande sul tema della lezione.

 

Quale rilievo assume, nell’attuale momento storico, la funzione di Compliance nella vita delle imprese?

E’ noto che la funzione della Compliance aziendale è quella di creare, attraverso la predisposizione di idonei presidi organizzativi, le condizioni perché l’attività d’impresa, nel suo complesso, si svolga nel rispetto delle regole (dettate da fonti legislative, regolamentari o di autoregolamentazione), onde evitare il rischio di incorrere in sanzioni giudiziarie o amministrative da cui possano derivare pregiudizi patrimoniali, economici o finanziari ovvero danni reputazionali.

Tale esigenza di conformità dell’agire imprenditoriale alle regole è, evidentemente, indotta dalla sempre maggiore complessità della gestione dell’impresa, che implica il coinvolgimento di una sempre più ampia gamma di competenze professionali e tecniche, e dal sempre più esteso novero degli interessi – e dei relativi centri di imputazione – che l’attività d’impresa investe.

In tale ottica, la Compliance si pone, in chiave preventiva, innanzitutto come strumento di tutela degli interessi dell’impresa e dei suoi shareholders; ma, a ben guardare, offre risposta anche alle istanze di tutela degli interessi delle diverse categorie di soggetti coinvolti per così dire ab externo nell’azione dell’impresa (stakeholders).

Non è un caso che la crescita della sensibilità verso la Compliance aziendale si leghi anche a vicende che hanno visto le imprese essere causa di eventi, talvolta addirittura drammatici, che hanno segnato la vita di singole persone e intere collettività (grandi scandali finanziari, fallimenti, disastri ambientali) esponendo, poi, le imprese stesse a ricadute spesso irreparabili.

 

In questo quadro, come si collocano le disposizioni introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, emanato con d.lgs. n. 14/2019, in tema di “assetti societari”?

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha modificato l’art. 2086 del Codice civile, introducendovi un secondo comma, a norma del quale nelle imprese societarie, e comunque collettive, devono essere istituiti assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche, ma non esclusivamente, in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale; e, in presenza di segnali o situazioni di crisi e compromissione della continuità aziendale, devono essere prontamente attivati gli strumenti offerti dall’ordinamento per farvi fronte.

E’ condivisibile, a mio parere, l’opinione secondo la quale Il d.lgs. n. 14/2019 ha elevato a principio generale del diritto societario – o meglio, della disciplina dell’impresa societaria e collettiva – un obbligo dapprima previsto, nel Codice civile, soltanto in capo agli amministratori delle società per azioni; nella legislazione speciale, per le imprese operanti in particolari settori.

Su tale sfondo normativo, dotare la società di un assetto amministrativo, organizzativo e contabile adeguato alla natura dell’attività svolta e alle dimensioni dell’impresa è dunque un dovere imposto agli amministratori non soltanto in funzione della tempestiva rilevazione della crisi e alla salvaguardia della continuità aziendale, ma più generalmente connesso e, direi, immanente ai canoni della corretta gestione societaria e imprenditoriale, che gli amministratori sono tenuti a osservare.

E l’adeguatezza degli assetti, per tornare alla Compliance, certamente va valutata anche in relazione alla conformità dell’azione imprenditoriale alle regole.

 

Nel contesto della struttura societaria, quali organi hanno competenza per la predisposizione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati e ne assumono la responsabilità?

La predisposizione degli “assetti adeguati” è obbligo degli amministratori, ai sensi degli artt. 2275, 2380 bis, 2409 novies e 2475 del Codice civile e su di essi incombe, quindi, la responsabilità per non avervi provveduto. In sostanza, gli amministratori possono essere chiamati a rispondere dei danni che la società, ovvero i suoi creditori, singoli soci o terzi, avessero subito proprio l’inadeguatezza degli “assetti”: a prevenire, ad esempio, situazioni di crisi o coglierne immediatamente i segnali, al fine di approntare idonee contromisure.

Peraltro, la giurisprudenza tende ormai a individuare nell’omessa predisposizione di assetti adeguati un’ipotesi di “grave irregolarità” nella gestione della società, suscettibile di dare adito alla denuncia al tribunale ai sensi dell’art. 2409 c.c., che, come è noto, può condurre, quale extrema ratio, alla revoca degli organi sociali e nella nomina di un amministratore giudiziario.

Certo, profilo sensibilissimo resta quello relativo alla valutazione di adeguatezza degli “assetti”, che va condotta tenendo conto della natura dell’attività e alle dimensioni dell’impresa; profilo, questo, che chiama direttamente in causa il delicato tema dell’applicazione, nella fattispecie, della business judgement rule.

Per completezza, va pure ricordato che, ai sensi dell’art. 2403 c.c., il Collegio sindacale (e comunque l’organo di controllo interno della società) ha il dovere di vigilare sull’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili istituiti dagli amministratori. Sicché i suoi componenti rispondono solidalmente con gli amministratori per i danni derivanti dall’omessa predisposizione di “assetti adeguati”, allorquando, contravvenendo ai propri obblighi di vigilanza, non abbiano assunto iniziative atte a scongiurarli.